Note su droga, cultura e controcultura
Giordano Meneghini (1996)
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L'uomo sin dagli albori della storia ha cercato di sfuggire alla routine della vita quotidiana, assumendo sostanze dotate del potere di alterare la normale percezione del tempo, dello spazio, dei limiti e delle potenzialità del proprio corpo e della propria mente. Tali sostanze erano inizialmente di origine vegetale (funghi allucinogeni, piante di vario genere ed effetto, prodotti derivati dalla fermentazione etc.), appartenevano ad un mondo naturale ed il loro consumo era strettamente legato ai luoghi in cui tali piante nascevano spontanee. Le differenti culture umane sparse per il mondo utilizzavano gli effetti "miracolosi" di queste piante per diversi scopi -medicinale, rituale, ricreativo etc.- tutti legati ad un unico comune denominatore religioso e sociale. Questo legame regolava le occasioni e le modalità del consumo delle droghe attraverso sistemi di divieto e prescrizioni che erano condivisi ed accettati da tutti i membri della società. Alcuni esempi di tale ritualità si possono riscontrare dai culti dionisiaci dell'antica Grecia, culla della nostra cultura occidentale, fino al culto del peyote, un cactus dall'effetto allucinogeno, tuttora praticato dagli Huicholes (popolazione tradizionale stanziata fra le montagne della Sierra Madre in Messico) o dai membri della "Peyote Religion" in cui sono confluiti, a partire del secolo scorso, quasi tutti i gruppi indiani Navahos confinati nelle riserve nel Nord America. In queste società l'utilizzo di sostanze psicoattive è caratterizzato da un sistema di valori e di significati mistico-religiosi in cui tutti gli individui facenti parte di quelle culture si riconoscono. Assumere droghe significa prendere parte ad una ritualità collettiva che scandisce i momenti, i luoghi e le m
odalità garantendo un controllo sociale e culturale del rapporto tra i singoli individui e le sostanze psicoattive. Tali pratiche assumono quindi il valore e la funzione di momenti fondamentali della vita collettiva intimamente connessi al senso del sacro e del religioso. Significativamente in queste culture non esiste tossicodipendenza che è invece un fenomeno caratteristico della società occidentale. Nella nostra civiltà occidentale il rapporto con le sostanze psicoattive, in grado cioè di alterare gli stati di coscienza dell'essere umano, è regolato dal sistema farmaceutico (escludendo gli alcolici il cui utilizzo si è consolidato in millenni di storia) . Con la chimica le droghe sono state denaturalizzate, separate dal mondo naturale di provenienza, attraverso processi di sintesi che consentono di estrarre i principi attivi dalle piante di origine. Esse vengono prodotte industrialmente e commercializzate, a scopo medico, in tutto il mondo separandole ulteriormente, materialmente e simbolicamente, dai luoghi e dalle culture in cui queste venivano venivano prodotte ed utilizzate. Nella cultura occidentale l'utilizzo di sostanze psicoattive è dunque totalmente laicizzato, regolato secondo principi dettati sistema medico- scientifico e proibito al di fuori di tale logica. La dimensione sociale ed esperienziale di pratiche legate alla alterazione della coscienza umana vengono rigettate della nostra società e dalla nostra cultura ed interdette sul piano legislativo. Secondo questo criterio le proposte che venivano dai movimenti della controcultura giovanile degli anni '60 e '70, dagli hippy fino all'underground, sono state in buona parte criminalizzate proprio in funzione del consumo di droghe che veniva proposto come modo per superare i limiti della coscenza e della conoscenza (aprire "le porte della percezione") e come modo di socializzare in maniera alternativa rispetto alla cultura borghese da cui i giovani contestatori, per la maggior parte, provenivano. Come sostengono alcuni sociologi con la droga si è individuato un ottimale "capro espiatorio" dietro al quale nascondere una lotta culturale fra due generazioni contrapposte. Demonizzando il consumo di droga -a cui certi movimenti cercavano di restituire la valenza sociale di esperienza collettiva e condivisa- si è demonizzato l'intera classe giovanile che si poneva in una posizione critica rispetto alla cultura dominante degli adulti. La droga in tale prospettiva -e volutamente tale nozione è stata mantenuta generica senza mai entrare in questioni inerenti a caratteristiche specifiche delle differenti droghe- è un terreno di contrapposizione simbolica e culturale fra diverse concezioni del mondo e della società. Concepirla solo come un "flagello sociale" rischia di impedire valutazione più articolata del fenomeno rinchiudendoci in visione a senso unico.